http://www.larena.it/stories/Cultura_e_Spettacoli/277228__societ_rotonda/
SOCIETÀ ROTONDA
Ilvo Diamanti aggiorna il «Sillabario dei tempi tristi». E parla dello stravolgimento del territorio al Nord. Spunta una rotatoria? È il segnale: lì arriverà anche il cemento. Rispetto alla Germania, negli anni '90 in Italia è stata urbanizzata un'area più che doppia.
Due anni dopo l'edizione originale, Ilvo Diamanti torna a proporre il suo Sillabario dei tempi tristi (Feltrinelli, 153 pagine). Rivisitato con oltre un terzo delle parole sostituite da altre, scritte nel frattempo. Due anni dopo, il punto di vista sull'Italia dell'editorialista di Repubblica non è cambiato. Questi tempi, per Diamanti, appaiono indiscutibilmente tristi. Dominano la paura del silenzio e degli altri, la solitudine, la perdita dei confini e l'isolamento sociale alimentato dalle nuove tecnologie di comunicazione.
Il saggio si apre con il Nordest, precisamente a Caldogno, provincia di Vicenza, il paese dove Diamanti abita. Questa volta però l'autore non parla del fenomeno Lega o dell'ex locomotiva economica italiana, ma si sofferma sull'alluvione del novembre 2010. Il fiume Bacchiglione rompe gli argini poco a nord di Vicenza, allagando completamente i centri abitati di Cresole e Rettorgole. Il fiume poi, in poche ore, esonda a Vicenza allagando una grossa fetta del centro storico e bloccando sia la circonvallazione esterna sia la tangenziale Sud nonché la linea ferroviaria Milano-Venezia. In poco tempo il 20 per cento del capoluogo berico finisce sott'acqua.
Com'è possibile che sia potuto accadere un simile evento? Tra le cause, l'autore individua l'urbanizzazione che ha stravolto i luoghi «Lo spazio si è condensato e al tempo stesso liquefatto. Sovraffollato. Si è trasformato in una plaga immobiliare, una non-città, dove sono affluite centinaia e centinaia di persone. Sconosciute. A me e anche tra loro».
La provincia del Nord, un ambiente che era lontano dall'alienazione e dalla disgregazione metropolitana, scrive Diamanti, non c'è più. Finita. L'esplosione dell'economia diffusa negli ultimi vent'anni ha trasformato la zona pedemontana del Nord, in particolar modo nel Veneto, in un grande reticolo di aziende. La «megalopoli padana», l'aveva battezzata il geografo Eugenio Turri, un unico ammasso urbano «cresciuto senza un disegno. Sulla base di interessi grandi e piccoli. Con un unico esito: che la provincia, intesa come rete di piccoli centri, dotati di visibile e specifica identità, non esiste», rimarca Diamanti. «Da tempo, ormai. Ma negli ultimi anni tutto ciò è diventato più evidente. Anche a chi ci vive».
Si è assistito a una rivoluzione immobiliare del territorio. Diamanti, riportando i dati del Centro di documentazione dell'architettura e del territorio del Politecnico di Milano (Cedat), evidenzia come negli anni Novanta le costruzioni in Italia hanno sottratto all'agricoltura 2,8 milioni di ettari di suolo. Ogni anno si consumano 100mila ettari di campagna (il doppio della superficie del Parco nazionale dell'Abruzzo). Ragionando sui dati dell'Eurostat di Germania e Francia, emerge che negli anni Novanta l'Italia ha urbanizzato un'area più che doppia di suolo rispetto a Germania o addirittura quattro volte quella della Francia.
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Com'è possibile che sia potuto accadere un simile evento? Tra le cause, l'autore individua l'urbanizzazione che ha stravolto i luoghi «Lo spazio si è condensato e al tempo stesso liquefatto. Sovraffollato. Si è trasformato in una plaga immobiliare, una non-città, dove sono affluite centinaia e centinaia di persone. Sconosciute. A me e anche tra loro».
La provincia del Nord, un ambiente che era lontano dall'alienazione e dalla disgregazione metropolitana, scrive Diamanti, non c'è più. Finita. L'esplosione dell'economia diffusa negli ultimi vent'anni ha trasformato la zona pedemontana del Nord, in particolar modo nel Veneto, in un grande reticolo di aziende. La «megalopoli padana», l'aveva battezzata il geografo Eugenio Turri, un unico ammasso urbano «cresciuto senza un disegno. Sulla base di interessi grandi e piccoli. Con un unico esito: che la provincia, intesa come rete di piccoli centri, dotati di visibile e specifica identità, non esiste», rimarca Diamanti. «Da tempo, ormai. Ma negli ultimi anni tutto ciò è diventato più evidente. Anche a chi ci vive».
Si è assistito a una rivoluzione immobiliare del territorio. Diamanti, riportando i dati del Centro di documentazione dell'architettura e del territorio del Politecnico di Milano (Cedat), evidenzia come negli anni Novanta le costruzioni in Italia hanno sottratto all'agricoltura 2,8 milioni di ettari di suolo. Ogni anno si consumano 100mila ettari di campagna (il doppio della superficie del Parco nazionale dell'Abruzzo). Ragionando sui dati dell'Eurostat di Germania e Francia, emerge che negli anni Novanta l'Italia ha urbanizzato un'area più che doppia di suolo rispetto a Germania o addirittura quattro volte quella della Francia.
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