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Pubblicato il 10/09/2011
LA RIVOLTA
FESTIVAL DELLA LETTERATURA . A Mantova le voci del Nord Africa «La primavera araba non è finita», spiega il direttore della tv Al Jaazera nel Qatar. Ala al-Aswani scrive cosa sta accadendo sul Nilo: «La libertà non si ferma»Simone Incontro
MANTOVA
La primavera araba non è finita. È cominciata in Tunisia. Ha proseguito in Egitto, in Yemen, in Libia e in Siria e non si fermerà. In molte nazioni del Medio Oriente non è ancora arrivata, ma il cambiamento è ormai alle porte. È inevitabile. A sostenere questa tesi è il direttore del canale televisivo del Qatar Al Jazeera, Mostefa Souag, ospite del Festivaletteratura di Mantova. Per molti osservatori internazionali Al Jazeera, nata nel 1996, ha preparato e poi accompagnato il risveglio, l'emancipazione democratica del mondo arabo, mettendo a confronto le versioni ufficiali e le voci delle opposizioni, con un linguaggio sconosciuto nel mondo islamico. Dopo gli anni in cui veniva accusata di essere la portavoce di Bin Laden, durante la primavera araba di questi mesi la televisione araba ha ricevuto pubblicamente il sostegno del capo della diplomazia americana, Hillary Clinton, ed è diventata una fonte indispensabile per i media occidentali.
«Ora ci accusano di essere al soldo della Cia e del Mossad e di voler rovesciare tutti i leader arabi e in molti di questi ora non possiamo più avere corrispondenti», ha detto il numero uno di Al Jazeera. «Ci vietavano l'ingresso in Tunisia prima della rivoluzione dei gelsomini e la stessa cosa ora accade nel nuovo centro delle rivolte, la Siria».
I DITTATORI hanno ripetutamente cercato di chiudere Al Jazeera. Souag ha affermato che la sua televisione «sarà sempre aperta e libera» e ha ribadito il fatto che la rete all news del Qatar «non ha innescato alcuna rivoluzione. Ne ha solo dato notizia. Dal 1996 abbiamo dato la possibilità alla gente di avere delle notizie, informandole correttamente», ha continuato Souag, «Al Jazeera non ha cominciato la rivoluzione, ma ha reso le persone consapevoli di quello che stava accadendo nei Paesi arabi per far sì che queste persone non si sentissero isolate e con le spalle al muro».
Tra questi cittadini ci sono molti giovani. Gad Lerner, sempre a Mantova, ha ricordato che metà dei 350 milioni di arabi ha meno di 25 anni. Al Festival della letteratura ha parlato poi uno di loro: Wael Abbas. Il giovane egiziano è uno dei blogger più attivi, ben prima di quel 25 gennaio 2011 in cui piazza Tahrir si riempì di uomini e donne che gridavano basta con il vecchio regime.
«In Egitto», ha affermato Abbas, «dopo le dimissioni di Osni Mubarak la rivoluzione non è ancora finita e c'è ancora un sistema da cambiare». I social network hanno giocato un ruolo importante nella rivolta. In Egitto si è costruita una rete orizzontale, da blog a blog, da post a post, per esprimere idee ed eludere la censura. Ci sono molte persone che nutrono dubbi riguardo al futuro di queste cosiddette «e-rivoluzioni». Abbas ha ricordato che i blogger e la società civile, da ora in poi, avranno un peso decisivo, nonostante l'esercito.
PROSPETTIVE «Se durante le prossime elezioni», ha proseguito Abbas, «ci saranno brogli li denunceremo. Se chi prenderà il potere non farà l'interesse dei cittadini scenderemo in piazza, di nuovo».
Tra coloro che sono scesi in piazza c'è lo scrittore egiziano Ala al-Aswani, che, nel suo libro del 2006 Palazzo Yacoubian (Feltrinelli) aveva previsto tutto quello che sarebbe successo a Piazza Tahrir. A Mantova ha raccontato come un popolo che appariva debole, prostrato e senza speranza, un giorno abbia deciso di scendere in piazza. «La società ha rotto il cristallo della paura. Si è giunti così al momento della rivoluzione e del cambiamento. Le persone erano talmente frustrate che volevano agire per il cambiamento anche al costo della propria vita e così si sono messe a lottare per la libertà dei propri figli».
«La gente allora ha trovato coraggio di manifestare nonostante centinaia di cecchini fossero appostati giorno e notte sui palazzi», ha proseguito al-Aswani. «La morte non rappresentava più un rischio, un'idea davanti alla quale si doveva indietreggiare. C'era la volontà di convivere con la possibilità di morire. È successo a me e a milioni di persone», conclude lo scrittore, convinto che «la libertà non si fermerà».
LO SCRITTORE egiziano ha voluto poi sottolineare il ruolo delle persone povere e come tutto fosse ben organizzato nei giorni della rivolta. Un particolare può rivelare lo spirito di quei 18 giorni. «Una sera ero molto stanco e ho gettato per terra un pacchetto di sigarette in Piazza Tahrir. Mi si è avvicinata una persona che mi ha confessato di apprezzare molto la mia scrittura», ha concluso al-Aswani. «Io l'ho ringraziato. Questo giovane però mi ha consigliato di raccogliere il pacchetto e mi ha detto: "Vogliamo tutti un nuovo Egitto. E il nuovo Egitto deve essere un luogo pulito"». Anche questo sembra essere un segno di una rivoluzione che difficilmente si spegnerà presto.
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