venerdì 29 luglio 2011

Smurf blue, but are they communist red?


From Washington Times:

"Sure, they look blue, but are the Smurfs closet Reds?

You remember the Smurfs: Blue skin, white caps and three apples high. Wanton berry junkies. A 1980s pop phenomenon. The adorable masters of the Saturday morning cartooniverse are back, the computer-generated titular attraction in a new movie opening nationwide Friday. As Papa Smurf and friends re-enter the cultural atmosphere, there’s no dodging the question: Are the Smurfs now, or they have ever been … communist?

A red — and blue — menace?

A crypto-Marxist cel escaping from history’s dustbin of discarded lies to reinspire a glorious people’s revolution, one seemingly innocuous cinematic adventure for children of all ages at a time?

“They have a dictatorlike leader, and they all have defined roles,” said Technorati.com editor Curtis Silver, who wrote about the psychology of the Smurfs for Wired magazine’s website. “When it comes to their day-to-day life, they’re like a Communistic group.”


Read more:
http://www.washingtontimes.com/news/2011/jul/27/sure-they-look-blue-but-are-the-smurfs-closet-reds/

mercoledì 27 luglio 2011

Paradossi comunisti cinesi

Dai quotidiani del gruppo Athesis, 27 luglio 2011

Nasceva 90 anni fa a Shanghai il Partito Comunista Cinese (Pcc). È da questa metropoli che Mao Zedong mosse i primi passi per poi, con la Grande Marcia, portare la Cina sulla via della rivoluzione. L'edificio in cui il 23 luglio 1921 i rappresentanti delle cellule comuniste fondarono il Pcc, all'interno dell'allora Concessione francese, è diventato un museo. Nel 1921 vi entrarono alla spicciolata 13 congiurati, tra cui Mao, che all'epoca aveva 28 anni.

Oggi arrivano frotte di cinesi, convogliati dall'agenzia di Stato Xinhua che lo considera la mecca del «turismo rosso» per il mercato interno. Dentro, domina la scena un diorama con figure di cera a grandezza naturale che ritrae lo storico Primo Congresso, con Mao al centro della scena. Ma l'atmosfera da cospirazione si respira piuttosto quando un raro visitatore (di solito il cronista straniero) scatta fotografie: è proibito.

Primo dei paradossi, Shanghai, la culla del comunismo asiatico, è la città-vetrina dell'attuale turbocapitalismo cinese. Secondo paradosso, in cerca di una spiegazione andiamo in un paese della Brianza, Besana, che ti accoglie con uno striscione: «Eugenio Corti Nobel». Il candidato («ma il premio non me lo daranno mai!» sorride) è uno scrittore novantenne tanto valoroso (27 edizioni del suo romanzo capolavoro, Il Cavallo Rosso) quanto ignorato. Il suo dramma Processo e morte di Stalin, all'epoca osteggiato parimenti da Dc e Pci, è stato rappresentato solo poche settimane fa, a Monza, protagonista Franco Branciaroli.

Nel comunismo Eugenio Corti si imbattè ragazzo, quando fu mandato a far la guerra in Russia, senza capirne niente, come i suoi coetanei cresciuti sotto il fascismo. Da allora capire è il suo scopo. Ha visto tante cose, anche quelle che sfuggivano ai sedicenti esperti. Come quando Le Monde negava «le voci» sulle stragi dei Khmer Rossi in Cambogia. Al brianzolo era bastato leggere i testi marxisti, e aver frequentato la Sorbona con Pol Pot, per capire quello che stava succedendo: l'applicazione letterale dell'utopia comunista. «Secondo Lenin, che si rifà a Marx, cinque sono le condizioni per cui una società possa essere "scientificamente" definita socialista: abolire la burocrazia, la polizia, l'esercito, dare a tutti lo stesso stipendio e portare lo Stato sulla via dell'estinzione. Dopo Stalin, la Russia abbandonò la via verso questa società ideale, risultata irrealizzabile». Pol Pot provava, semplicemente, ad attuare il piano senza fasi intermedie. Risultato: il maggior genocidio della storia, considerando i morti in proporzione all'esigua popolazione.

E la Cina? Deng, il successore di Mao, tutto ha rovesciato, ma non l'ideologia. Il marxismo-leninismo è dottrina di Stato e il Pcc ha il potere. Secondo l'ex corrispondente da Pechino per il Financial Times, Richard McGregor, autore di The Party (Allen Lane, 2010), Lenin individuerebbe nel Pcc il suo copyright. La Cina moderna, scrive McGregor, «gira ancora su un hardware sovietico». Ma come possono esistere contemporaneamente il potere comunista e la, relativa, libertà d'impresa? «Perché altrimenti potrebbe cadere a pezzi tutto», spiega Corti, ricordando la fine dell'Unione Sovietica. «In Cina, piuttosto, siamo arrivati a una sorta di fascismo». Dittatura politica, ma senza freni all'economia. «Dai tempi di Mao, è tramontata l'idea di poter cambiare la coscienza delle persone. Quando hanno visto che non accadeva, hanno continuato a insistere solo con la repressione. Se Stalin ha ucciso "soltanto" 60 milioni di suoi compatrioti, Mao, secondo l'autorevole gesuita e sinologo ungherese Lazlo Ladani, oltre 150 milioni».

Continua su http://www.larena.it/stories/Cultura_e_Spettacoli/273881__paradossi/


martedì 19 luglio 2011

Il successo di Apple

Da Reuters
http://www.reuters.com/article/2011/07/19/us-apple-idUSTRE76I0KW20110719:

"Blockbuster sales of the iPhone and strong Asian business again helped Apple Inc crush Wall Street's expectations, driving its shares up more than 7 percent to record highs.

Sales of its iconic products far outpaced forecasts, helping drive a near-doubling of revenue in the fiscal third quarter. Its shares leapt to a high of $405 after a brief after-hours trading suspension.

Apple sold 20.34 million iPhones during the quarter versus an expected 17 million to 18 million, which analysts say helped it vault past Nokia and Samsung Electronics to become the world's biggest smartphone maker".

e a proposito del mercato asiatico:

"ASIA ON FIRE

The Cupertino, California company said its fiscal third-quarter revenue rose to $28.57 billion, trouncing the average analyst estimate of $24.99 billion, according to Thomson Reuters I/B/E/S.

Oppenheimer attributed the big margin boost to higher sales of the iPhone, particularly in Asia. International sales accounted for 62 percent of the quarter's revenue.

Executives told analysts they were particularly optimistic about China, where Apple was only "scratching the surface." Asia Pacific revenue more than tripled to $6.3 billion in the quarter".

giovedì 14 luglio 2011

Cosa tiene accese le stelle


Dall'articolo dei quotidiani del gruppo Athesis
http://www.larena.it/stories/Cultura_e_Spettacoli/269916__se_torni_a_guardare_in_alto_vedrai_che_ci_sono_le_stelle/

Se torni a guardare in alto vedrai che ci sono le stelle


S'intitola Cosa tiene accese le stelle (Mondadori, 130 pagine) l'ultimo libro del direttore della Stampa, Mario Calabresi. Dopo La fortuna non esiste (Mondadori, 2009), una raccolta di storie sulla frontiera e sul sogno americani, Calabresi volge lo sguardo all'Italia. Il libro nasce per reazione alle lettere che Calabresi riceve ogni giorno dai lettori: parlano di un'Italia in declino, senza speranza. È vero che siamo un Paese così? La risposta di Calabresi è un molto ragionato no.
È vero che in questa Italia del nuovo millennio, nel Paese che ha compiuto 150 anni, l'umore più diffuso è lo scoraggiamento accompagnato dal disincanto. Viviamo, scrive Calabresi, spaventati, impauriti, con il terreno che ci frana sotto i piedi. Però ci dimentichiamo di tutta la strada che abbiamo percorso. «Siamo davvero sicuri», si chiede Calabresi, «che ci sia stata una mitica età dell'oro da piangere? Guardo al secolo scorso e vedo guerre, macerie, sterminii, odio ideologico, giovani che si sprangano, terrorismo, stragi, iniquità, disoccupazione, inflazione alle stelle e ingiustizie assortite. Sento rimpiangere i tempi dell'etica, della bella politica, di una classe dirigente virtuosa e mi viene sempre in mente la stessa scena: il funerale di Giorgio Ambrosoli, a cui non partecipò nessun rappresentante delle istituzioni».
Il direttore della Stampa non nasconde il fatto che oggi viviamo tempi cupi: la crisi economica si sta mangiando i risparmi delle famiglie e sicurezze costruite in generazioni, l'Italia scivola sempre più verso posizioni di irrilevanza, la nostra crescita è risicata, l'offerta di lavoro è stentata e la precarietà è diventata ormai una regola. L'autore se la prende con la politica («completamente incapace di alzare lo sguardo, indicare un progetto, proporre vie d'uscita») e, rivolto al lettore, afferma: «Tutto questo non deve impedirci di vedere cosa abbiamo conquistato nel tempo, cosa siamo e cosa potremmo diventare».
Per riprendere coraggio, Calabresi si rimette a viaggiare nella memoria. Ad aiutarlo ci pensano l'attrice Franca Valeri, l'oncologo Umberto Veronesi, il presidente dell'Inter Massimo Moratti, l'attore Roberto Benigni e il cantante Lorenzo Cherubini, e anche persone meno note come il direttore di Google Italia Stefano Maruzzi, gli ideatori della gelateria biologica Grom, Federico Grom e Guido Martinetti, e una studentessa di origine marocchina, Amal Sadki. L'ultimo incontro del libro è con una persona «abituata a guardare lontano, a scrutare l'orizzonte e oltre il tempo presente»: l'astrofisico Giovanni Bignami, ex presidente dell'Agenzia spaziale italiana. «Abbiamo bisogno di grandi progetti», dice, «di grandi visioni e di stimolare la fantasia. Dobbiamo tornare ad avere fame di avventura e di scoperte. Dobbiamo ricominciare a guardare in direzione delle stelle, perché significa alzare la testa, avere la vista lunga e immaginare altri mondi».


Simone Incontro

martedì 12 luglio 2011

WHY ITALY? (Video)

La spiegazione del Financial Times

http://video.ft.com/v/1048076129001/Why-Italy-


"Italy's 10-year bonds yields have been pushed to 5.8 per cent for little good reason. Lex's John Authers and Vincent Boland explain that the solution to this latest bout of sovereign debt contagion lies not in Italy but in dealing toughly with Greece's debt"

lunedì 11 luglio 2011

Il polo conquista la Cina

Dal sito della Cnn

http://edition.cnn.com/2011/WORLD/asiapcf/07/11/china.polo/index.html?hpt=hp_c2

Il polo - e non più il golf - sta conquistando i ricchi cinesi

"As golf loses its luster as a marker for wealth and status in China, polo and equestrian events are being groomed as the new exclusive pursuit for the country's super rich.

Polo clubs have been in China since 2004, but the operation in Tianjin is just the latest, and currently most opulent, of the new clubs embracing horse sports as a way to corral China's "high net worth individuals."

Playing golf, no one else sees you
--Harvey Lee, Vice Chariman, Tianjin Goldin Metropolitan Polo Club

"Playing golf, no one else sees you," says Harvey Lee, vice chairman of Goldin Metropolitan Polo Club.

"In China for now a lot of people will enjoy watching polo, not many will ride and play."

The club is looking for members and patrons who can afford to buy a polo team and keep horses at the club's stables."

domenica 10 luglio 2011

Il Sud Sudan secondo l'erede di Comboni


(dai quotidiani del gruppo Athesis)

Traguardo storico dopo la lunga guerra Sud Sudan
una nazione
che vive
di speranza

Simone Incontro

Il vescovo comboniano Mazzolari benedice il nuovo Stato: «L'Italia dovrebbe formare i leader per aiutare l'indipendenza»

Il vescovo comboniano Cesare Mazzolari, bresciano, tra il suo popolo a Rumbek, nel Sud Sudan.

Rappresentanti di Stato da tutto il mondo erano a Juba per celebrare l'indipendenza della nazione africana numero 54, la Repubblica del Sud Sudan. «Nasce un nuovo Stato libero e genuinamente africano: freschezza, rischio e povertà».

Lo dice monsignor Cesare Mazzolari, bresciano, classe 1937, vescovo di Rumbek nel Sud Sudan, missionario in Africa dal 1981. Ieri a Rumbek ha benedetto il nuovo Stato con queste parole: «O Signore, rimani con noi e rendici capaci di ricostruire le mura della nostra Gerusalemme che è la nostra nuova Repubblica del Sud Sudan».

Avevamo incontrato il missionario, sacerdote comboniano dal 1962, a Verona, alla casa madre dei comboniani. Una puntata rapidissima, prima di tornare in Africa. A Enzo Biagi, che lo intervistava nel 1999, il comboniano disse: «Ho promesso alla mia gente che morirò in Sudan perché sono uno di loro. Non lascerò più il Paese, se non per chiedere aiuti e per cercare altri missionari».

Che cosa significa oggi essere comboniano?
San Daniele Comboni, quando era nella mia attuale diocesi, nel 1856-1858, ci ha insegnato che il missionario è colui che è capace di vivere di fede senza aspettarsi il successo immediato. Noi mettiamo le fondamenta e poi verrà qualcuno che costruirà i muri. Comboni diceva: «Io muoio, ma la mia opera non morirà». Questo è il testamento di ciascun comboniano. Vivere di speranza.

Lei è sempre stato un assertore dell'indipendenza del Sud Sudan, cristiano e animista, dal Nord, musulmano. Che cosa ha rappresentato il referendum di gennaio?
È stato un mezzo miracolo. Obama l'ha considerato uno degli eventi più importanti per la libertà. Un atto a cui Dio ha contribuito. Questo popolo, come quello del Vecchio Testamento, ha invocato la misericordia di Dio. Abbiamo pregato e pregato perché Dio avesse misericordia di un popolo che aveva sofferto così a lungo.

Il Nord, guidato dal ricercato dell'Aja per i crimini di guerra Darfur, Omar al Bashir, come ha reagito?
Khartoum non si aspettava una decisione così determinata. Vorrebbero rovinarla, ma il Sud non accetta provocazioni per un'altra guerra. Il nostro popolo del Sud ha avuto 22 anni di guerra, ha sofferto la perdita di oltre due milioni di abitanti, per la maggior parte civili. Un proverbio congolese dice: «Quando due elefanti lottano, è l'erba che ne va di mezzo». I due elefanti erano il Nord e il Sud. Chi ha sofferto è stata la popolazione inerme.

In che modo la gente del Sud ha vissuto i giorni del referendum?
Già alle quattro di mattino del primo giorno di voto, la gente era fuori per strada a pregare, cantare e ballare. Era una festa, qualcosa che arrivava genuinamente dal cuore dei sudsudanesi. Nella prima notte di voto un'osservatrice internazionale dell'Onu si è commossa davanti a questa celebrazione.

Dopo la lunga festa, la storica dichiarazione d'indipendenza. Che cosa accadrà poi?
Il presidente Salva Kiir, secondo la nuova costituzione temporanea, governerà per i prossimi quattro anni. Avrà il potere di cambiare tutti i funzionari dello Stato e i governatori. C'è un po' di tensione perché la costituzione temporanea è stata messa assieme a porte chiuse. Non c'è stata la partecipazione del popolo e anche la Chiesa si è sentita lasciata fuori. È salito inoltre il livello del tribalismo.
Il bisogno più grande del Sudan è l'integrazione dei diversi gruppi, tra i Dinka, circa 3,5 milioni su una popolazione totale di circa 8 milioni, e gli altri. L'ultimo problema è quello delle persone che arrivano dal Sudan e che si sentono minacciate da Bashir. Il presidente sudanese vuole applicare la Shari'a, la legge islamica, in modo assoluto a tutti.

Il Nord Sudan ha il petrolio e un grande alleato, Pechino. La compagnia petrolifera di Stato cinese controlla i due più grandi consorzi energetici sudanesi. Ha costruito un oleodotto da 1.500 chilometri per collegare le due metà del Paese...
Con solo il 20 per cento dell'estrazione nazionale di greggio, il Sudan del nord dovrà rinunciare a parte delle rendite energetiche. Il Sud sarà però uno Stato senza sbocchi sul mare e dovrà trovare un accordo con Karthoum per trasportare il suo petrolio attraverso gli oleodotti del nord. La Cina ha convenienza che regni la pace e l'ordine.

Come si sta muovendo la comunità internazionale?
Gli Stati Uniti danno tanti soldi per l'esercito. Hanno ricostruito gli uffici del presidente. Il ministro delle Finanze e il capo di Stato del Sud Sudan fanno la spola Juba-Washington. L'Onu (con le sue agenzie Unicef e Undp) sta lavorando molto bene e il World Food Program sta funzionando alla perfezione.

E l'Italia che ruolo potrà giocare?
Roma ha una grande capacità di riconciliazione. Ho chiesto al sindaco di Verona, la città di Comboni, di gemellarsi con la mia diocesi. Alcuni parlamentari italiani, inoltre, hanno manifestato la volontà di riconoscere immediatamente il nuovo Stato e avviare relazioni diplomatiche. L'Italia potrebbe giocare un ruolo importante per formare i nostri leader.

sabato 9 luglio 2011

Adieu Yao Ming


Yao Ming si ritira

Yao Ming dice basta a 30 anni. Uno degli atleti cinesi più famosi al mondo ha deciso di ritirarsi dopo 486 partite.

Da Wikipedia:

"Yao Ming
(cinese semplificato: 姚明, pinyin: Yáo Míng; Shanghai, 12 settembre 1980) è un ex cestista cinese.

Alto 229 cm per un peso di 140,6 kg,[1] ricopriva il ruolo di centro negli Houston Rockets, squadra NBA."

Qui l'annuncio sul canale Nba
http://www.nba.com/video/channels/nba_tv/2011/07/08/20110708_yao_ming_retires.nba/index.html

Qui video tributo su YouTube

http://www.youtube.com/watch?v=TNxlZLq787g

Yao Ming su Wikipedia
http://it.wikipedia.org/wiki/Yao_Ming

L'addio di Yao Ming sul quotidiano (in lingua inglese) della sua città, lo Shanghai Daily
http://www.shanghaidaily.com/nsp/Sports/2011/07/09/Basketball%2Bstar%2BYao%2BMing%2Bplans%2Bto%2Bannounce%2Bretirement/

Un estratto dell'articolo dello Shanghai Daily:

"YAO Team is planning to announce Yao's retirement soon, a source close to Yao told Xinhua today.

In an email sent to Xinhua, Yao Team said Yao Ming is to hold news conference on July 20 about his "personal future development plan".

Earlier Yao Team confirmed Yao had decided to retire and was planning to announce his decision on August, but several American reports had released the news yesterday.

Another source of the Chinese Basketball Association (CBA) said Yao and his Yao Team came to Beijing two weeks ago to inform the Chinese basketball governing body his decision [...]

Yao, 31 year old, played nine seasons for the Rockets after he was drafted on No. 1 in 2002 by the Rockets.

The most famous Chinese sports star has been suffering from foot injuries in the past two seasons.

He was supposed to become free agent this summer after his contract is expired and the Rockets had tried to deal the 2.26m center last season".

venerdì 8 luglio 2011

The British Watergate?


Grossi guai a casa Murdoch?

Grande copertina di The Independent

Qui sotto ottimo articolo sul sito di Sky News

http://news.sky.com/skynews/Home/UK-News/News-Of-The-World-Daily-Star-Offices-Searched-As-Ex-Editor-Coulson-And-Royal-Reporter-Goodman-Held/Article/201107216026496?lpos=UK_News_Carousel_Region_0&lid=ARTICLE_16026496_News_Of_The_World%3A_Daily_Star_Offices_Searched_As_Ex-Editor_Coulson_And_Royal_Reporter_Goodman_Held

La disoccupazione negli Usa, tallone d'Achille di Obama?

Un dato che potrebbe costare la presidenza a Barack Obama

E' uscito oggi - ed è l'apertura di Drudgereport - e il dato dice: 9.2%
Oltre 14 milioni di americani e americane oggi sono senza lavoro

Qui sotto il link di Cnbc a riguardo:

http://www.cnbc.com/id/43682730

"The unemployment rate climbed to a six-month high of 9.2 percent, even as jobseekers left the labor force in droves, from 9.1 percent in May.

"[...]The message on the economy is ongoing stagnation," said Pierre Ellis, senior economist at Decision economics in New York. "Income growth is marginal so there's no indication of momentum [...]"


Qui il 3 giugno Christian Rocca aveva scritto: "Brutte notizie per Obama" e presentava un'importante tabella di Third Way

http://www.camilloblog.it/?s=obama+disoccupazione&cat=-1&year=&monthnum=

Da Camillo

"[...] Con la disoccupazione oltre il 5,4 per cento, Reagan a parte, si perdono le elezioni. La disoccupazione ai tempi di Obama è di quasi 4 punti oltre quel limite [...] Oggi gli economisti sono certi che da qui a novembre sarà impossibile scendere al 5,4 per cento [...]".

Nessun presidente in carica (che corre per la rielezione) è riuscito a farsi rieleggere con tassi di disoccupazione così alti, dai tempi di FDR


Quelli che hanno perso

Ford (1976) 7.8%

Carter (1980) 7.5%

Bush Sr. (1992) 7.4%


Quelli che hanno vinto (ad eccezione di Reagan sono tutti sotto il 5.4%)

Reagan (1984) 7.2%

Bush Jr (2004) 5.4%

Clinton (1996) 5.4%

Nixon (1972) 5.3%

Johnson (1964) 4.8%

Eisenhower (1956) 4.3%

Truman (1948) 3.8%


Obama come Reagan? Tra poco più di un anno lo sapremo...

Simone Incontro

martedì 5 luglio 2011

The National a Ferrara



Dopo il successo del concerto che ha fatto registrare il tutto esaurito lo scorso novembre all’Alcatraz di Milano, i National tornano in Italia. I National - la band di Brooklyn guidata da Matt Berninger - si esibiranno stasera nella splendida cornice di Piazza Castello a Ferrara, per l’edizione 2011 di “Ferrara sotto le stelle”.

Sarà una serata interessante per gli appassionati di
indie rock, perché a fare da supporter ci sarà Beirut, per la prima volta in Italia, che terrà un concerto di un’ora in cui presenterà in anteprima anche brani del nuovo album The Rip Tide, in uscita ad agosto.

I
National sono originari di Cincinnati ma, sin dalla loro formazione (nel 1999), sono di base a Brooklyn. I National sono composti dal cantautore (baritono) Matt Berninger e da due coppie di fratelli: Aaron e Bryce Dessner e Scott e Bryan Devendorf. I National hanno saputo costruirsi anno dopo anno un largo seguito, grazie anche a grandi esibizioni dal vivo. I segreti? Voce baritonale e sofferente, accordi di pianoforte in minore che creano un’atmosfera notturna e malinconica e melodie che si posizionano fra il rock elettrico americano e l’indie rock dai toni più leggeri, con le influenze di sempre fra Joy Division e sprazzi di new wave britannica.

Il primo album di successo dei National è
Alligator (2005). Due anni dopo arriva la fama internazionale con Boxer e le canzoni Slow Show, Fake Empire e Start a War.

High Violet è il loro ultimo album, uscito l’anno scorso. Nella prima settimana dalla sua pubblicazione ha raggiunto la top ten nelle classifiche nordamericane e del Regno Unito e Pitchfork l’ha inserito tra i 50 migliori album del 2010. Un grande amante dei National è il presidente americano Barack Obama. I National hanno aperto alcuni suoi comizi sia nelle elezioni presidenziali del 2008 sia nelle elezioni di metà mandato del 2010.

Tornando a parlare di musica (seppure in sinergia con il cinema), i
National hanno registrato lo scorso marzo una canzone per la colonna sonora di Win Win, un film indipendente con Paul Giamatti ed Amy Ryan. La canzone si chiama Think You Can Wait. Nei primi giorni di aprile è uscito il video, che alterna scene di Win Win, immagini della band che suona (con la cantante Sharon Van Etten come ospite) e video girati sul set durante le riprese del film.

Simone Incontro

sabato 2 luglio 2011

Mat Kearney Is Back - Brand New Single Hey Mama

Novant'anni e (non) sentirli

Alcuni siti internet dove vedere com'è andato il compleanno del Partito comunista cinese

Global Times
http://www.globaltimes.cn/NEWS/tabid/99/articleType/ArticleView/articleId/664255/Hu-lays-out-path-ahead-for-CPC.aspx

Shanghai Daily
http://www.shanghaidaily.com/nsp/National/2011/07/02/President%2Bsays%2BParty%2Bendures%2Bby%2Blearning%2Bfrom%2Bits%2Bmistakes/

New York Times
http://www.nytimes.com/2011/07/01/opinion/01iht-edshambaugh01.html?partner=rssnyt&emc=rss
http://www.nytimes.com/2011/07/01/opinion/01iht-edminxin01.html?partner=rssnyt&emc=rss

The Guardian
http://www.guardian.co.uk/world/gallery/2011/jul/01/china-anniversary-communist-party-in-pictures

Le foto del Guardian
http://www.guardian.co.uk/world/gallery/2011/jul/01/china-anniversary-communist-party-in-pictures

The Atlantic
http://www.theatlantic.com/international/archive/2011/06/90-years-of-the-chinese-communist-party/241055/

HaoHao Report
http://www.haohaoreport.com/ChinaNews/Singing-Red-Songs

ParteCinese ParteEuropeo
http://partecinesepartenopeo.wordpress.com/2011/06/30/i-90-anni-del-partito-comunista-nel-segno-di-mao/

venerdì 1 luglio 2011

Happy Birthday CPC (il pellegrinaggio a Xintiandi)


Nasceva 90 anni fa a Shanghai il Partito Comunista Cinese (Pcc). E’ da questa metropoli - che Deng Xiaoping aveva definito la “testa del Dragone che avrebbe proiettato la Cina nel futuro” – che Mao Zedong ha mosso i primi passi che avrebbero rivoluzionato la storia della Cina. E’ Shanghai la culla del comunismo cinese, del Partito guidato prima da Mao, poi da Deng e Jiang Zemin e ora da Hu Jintao.


E’ stata la città vetrina del successo economico e del turbocapitalismo cinesi, infatti, ad ospitare la prima riunione del Partito comunista cinese (Pcc). In un edificio all’interno della Concessione francese ci fu l’incontro storico del 23 luglio 1921 in cui i rappresentanti delle cellule comuniste si riunirono per formare il Pcc. Ufficialmente vi presero parte 13 politici cinesi, tra cui Mao, che all’epoca aveva 28 anni.


La polizia, dopo qualche giorno, scoprì la riunione e i delegati furono costretti a fuggire in barca sul lago Nan. Ma cosa vi è ora dell’edificio della prima riunione del Pcc? L’agenzia di Stato Xinhua lo considera la mecca del “turismo rosso”, il luogo da visitare almeno una volta nella propria vita.


Lo raggiungiamo con la metropolitana. Scendiamo alla fermata di Xintiandi (che significa “Nuovo cielo e terra”). Ci troviamo di fronte a un quartiere con spazi commerciali, per l’intrattenimento e per uffici. Qui dominano una serie di viali ombreggiati dai platani, schiere di edifici bassi adibiti a gallerie d’arte, negozi d’abbigliamento e caffé. E’ più o meno così che appare l’ex concessione francese di Shanghai.


La concessione francese in passato ha rivestito una grande importanza nella storia di Shanghai, prima come quartiere residenziale per gli stranieri e poi come luogo di nascita del Pcc. La zona passò sotto la sovranità francese nel 1849, negli anni in cui iniziava la spartizione straniera della Cina imperiale, e rimase francese fino al 1943. La concessione è caduta in disgrazia durante gli anni del maoismo, ma è rinata dalle sue ceneri e si è ormai trasformata in una delle zone più alla moda della città.


Seguendo i piccoli cartelli che indicano il museo del Pcc, passiamo vicino a un cinema multisala, a una birreria tedesca e a un grande locale della multinazionale americana del caffè Starbucks e, al numero 76 di Xingye Lu, ci troviamo di fronte all’ingresso del Museo del Primo Congresso del Pcc.


L’entrata è gratuita. Si accede all’atrio - dove è esposta una grande bandiera rossa con falce e martello – dopo un controllo di sicurezza. Questa è l’unica area della casa a due piani dove sono permesse le foto e i visitatori non perdono l’occasione di scattare istantanee davanti alla grande bandiera.


La casa nel 1920 apparteneva al delegato del Pcc Li Hanjun e al fratello Li Shucheng. E’ stata poi riammodernata e, dal 1952, è diventata un museo. Nel marzo del 1961 il Consiglio di Stato l’ha proclamata “sede del primo congresso nazionale del Pcc” e, nel 1984, il presidente Deng l’ha dichiarata ufficialmente monumento nazionale.


All’interno del museo troviamo tre gruppi di studenti cinesi di scuole secondarie provenienti da una delle principali città del Nordest, Jilin. La visita guidata dura circa 30 minuti ed è un po’ deludente. I primi pannelli mostrano fotografie risalenti alla Shanghai degli anni Venti con dei cinesi ridotti a scheletri “a causa delle potenze capitalistiche occidentali”.


Nelle didascalie si legge che il Pcc è nato come reazione alla dominazione straniera “che aveva reso la Cina a una società semifeudale e semicoloniale”. Sono riportati poi alcuni passaggi del Libretto rosso di Mao, come “Senza gli sforzi del Pcc, senza i comunisti cinesi, non sarebbe stato possibile ottenere l’indipendenza e la liberazione della Cina”.


Il pezzo forte del museo è un diorama di cera a grandezza naturale che ritrae lo storico Primo Congresso, con Mao al centro della scena. Anche qui, come a Piazza Tienanmen a Pechino, è Mao a dominare la scena. Deng, il suo successore, ha rovesciato, contraddetto, rimodellato tutto ciò che era stato tipico di Mao. Una sola cosa però non ha toccato: la cornice ideologica nella quale il paese si muove.


Il marxismo-leninismo e il pensiero di Mao restano i principi guida del paese e il Pcc resta il centro monopolistico di tutto il potere. Pensiamo al settore privato dell’economia. Mao l’aveva abolito. Deng e i suoi eredi non solo l’hanno riammesso, lo hanno persino incoraggiato. Il concetto di fondo, ripetuto costantemente dai dirigenti comunisti, è che l’economia deve rimanere socialista mentre il settore privato deve muoversi nella cornice del piano nazionale.


Deng ha sviluppato l’industria, ma non ha voluto dare tutto il potere decisionale ai manager e ai tecnici. L’ultima parola, come scriveva Tiziano Terzani nel suo libro La porta proibita (Longanesi, 1984), “ha ancora da essere del segretario del partito”. Ventisette anni dopo, nessuno mette in dubbio questa legge del pionere del miracolo economico cinese.



CHI C'ERA A SHANGHAI:

Secondo i documenti ufficiali presenti al Museo del Primo Congresso Nazionale del Pcc i delegati cinesi presenti il 23 luglio 1921 erano 13: Mao Zedong, He Shusheng, Dong Biwu, Chen Tanqiu, Wang Jinmei, Deng Enming, Li Da, Li Hanjun, Zhang Guotao, Liu Renjing, Chen Gongbo, Zhu Fohai e Bao Huiseng. A questi si devono aggiungere due rappresentanti del Comintern (l’Internazionale comunista) che però non avevano diritto di voto.


I NUMERI DEL PARTITO COMUNISTA CINESE OGGI:

Nella conferenza stampa del 24 giugno a Pechino, Wang Qinfeng, vicepresidente della commissione organizzativa del Partito, ha dichiarato che il Pcc conta 80,27 milioni di membri, ovvero il 6,17% della popolazione cinese (che si aggira attorno a un miliardo e 300 milioni di abitanti). Nel 2010, secondo Wang, il Pcc ha reclutato più di tre milioni di nuovi membri, dei quali il 40% sono studenti e il 38,5% donne. L’80% dei nuovi iscritti hanno meno di 35 anni. Le donne ora sono il 22,5% degli iscritti. Essere membro del Pcc conferisce prestigio e aiuta ad accedere a lavori stabili e ben pagati nelle imprese di Stato e nell’amministrazione pubblica.