domenica 7 agosto 2011

Società Rotonda

Dai quotidiani del gruppo Athesis
http://www.larena.it/stories/Cultura_e_Spettacoli/277228__societ_rotonda/

SOCIETÀ ROTONDA


Ilvo Diamanti aggiorna il «Sillabario dei tempi tristi». E parla dello stravolgimento del territorio al Nord. Spunta una rotatoria? È il segnale: lì arriverà anche il cemento. Rispetto alla Germania, negli anni '90 in Italia è stata urbanizzata un'area più che doppia.

Due anni dopo l'edizione originale, Ilvo Diamanti torna a proporre il suo Sillabario dei tempi tristi (Feltrinelli, 153 pagine). Rivisitato con oltre un terzo delle parole sostituite da altre, scritte nel frattempo. Due anni dopo, il punto di vista sull'Italia dell'editorialista di Repubblica non è cambiato. Questi tempi, per Diamanti, appaiono indiscutibilmente tristi. Dominano la paura del silenzio e degli altri, la solitudine, la perdita dei confini e l'isolamento sociale alimentato dalle nuove tecnologie di comunicazione.

Il saggio si apre con il Nordest, precisamente a Caldogno, provincia di Vicenza, il paese dove Diamanti abita. Questa volta però l'autore non parla del fenomeno Lega o dell'ex locomotiva economica italiana, ma si sofferma sull'alluvione del novembre 2010. Il fiume Bacchiglione rompe gli argini poco a nord di Vicenza, allagando completamente i centri abitati di Cresole e Rettorgole. Il fiume poi, in poche ore, esonda a Vicenza allagando una grossa fetta del centro storico e bloccando sia la circonvallazione esterna sia la tangenziale Sud nonché la linea ferroviaria Milano-Venezia. In poco tempo il 20 per cento del capoluogo berico finisce sott'acqua.
Com'è possibile che sia potuto accadere un simile evento? Tra le cause, l'autore individua l'urbanizzazione che ha stravolto i luoghi «Lo spazio si è condensato e al tempo stesso liquefatto. Sovraffollato. Si è trasformato in una plaga immobiliare, una non-città, dove sono affluite centinaia e centinaia di persone. Sconosciute. A me e anche tra loro».

La provincia del Nord, un ambiente che era lontano dall'alienazione e dalla disgregazione metropolitana, scrive Diamanti, non c'è più. Finita. L'esplosione dell'economia diffusa negli ultimi vent'anni ha trasformato la zona pedemontana del Nord, in particolar modo nel Veneto, in un grande reticolo di aziende. La «megalopoli padana», l'aveva battezzata il geografo Eugenio Turri, un unico ammasso urbano «cresciuto senza un disegno. Sulla base di interessi grandi e piccoli. Con un unico esito: che la provincia, intesa come rete di piccoli centri, dotati di visibile e specifica identità, non esiste», rimarca Diamanti. «Da tempo, ormai. Ma negli ultimi anni tutto ciò è diventato più evidente. Anche a chi ci vive».

Si è assistito a una rivoluzione immobiliare del territorio. Diamanti, riportando i dati del Centro di documentazione dell'architettura e del territorio del Politecnico di Milano (Cedat), evidenzia come negli anni Novanta le costruzioni in Italia hanno sottratto all'agricoltura 2,8 milioni di ettari di suolo. Ogni anno si consumano 100mila ettari di campagna (il doppio della superficie del Parco nazionale dell'Abruzzo). Ragionando sui dati dell'Eurostat di Germania e Francia, emerge che negli anni Novanta l'Italia ha urbanizzato un'area più che doppia di suolo rispetto a Germania o addirittura quattro volte quella della Francia.


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martedì 2 agosto 2011

Keynes Is Back

Dai quotidiani del gruppo Athesis
http://www.larena.it/stories/Cultura_e_Spettacoli/275638__ritorno/

E se fosse di nuovo Keynes a salvare gli Stati Uniti da quello che potrebbe rivelarsi (auguriamoci tutti di no) il loro tracollo economico? Per Robert Reich - ministro del Lavoro nel primo governo Clinton - la prima potenza economica al mondo, al fine di scongiurare questo possibile scenario, dovrà presto ritornare a un «patto sociale di base, secondo il quale gran parte di quello che l'economia produce viene distribuito al ceto medio, ai lavoratori. Con riforme ispirate a Keynes gli Usa potrebbero guardare al futuro con ottimismo. Prima, però, occorre interrompere quel culto del mercato imposto fin dall'era di Reagan e della Thatcher. Con queste due figure politiche, secondo Reich, la crescita dei salari si è fermata, la distribuzione del reddito è diventata sempre più diseguale e la domanda di consumo è stata sostenuta da una grande espansione nell'indebitamento delle famiglie.
Queste tesi sono contenute in Aftershock. Il futuro dell'economia dopo la crisi (Fazi Editore, 223 pagine) di Reich. Un libro che forse alcuni senatori americani e lo stesso Barack Obama dovrebbero prendere in mano e cominciare a leggere. Oggi, se non fosse stato raggiunto un accordo tra la Casa Bianca e il Congresso, l'America infatti sarebbe tecnicamente uno Stato fallimentare. E allora torniamo a quanto Reich scrive nella prefazione del suo saggio, dove parla anche del nostro Paese. «Sebbene gli eccessi finanziari siano stati la causa più immediata della crisi economica e della lenta ripresa successiva, il motivo di fondo è la crescente disuguaglianza nella distribuzione del reddito e della ricchezza», sostiene l'autore. «Da decenni in Italia come negli Usa, i benefici della crescita economica vanno sempre di più ai cittadini più ricchi. Tra le economie avanzate, l'Italia è uno dei Paesi con il maggior livello di disuguaglianza dei redditi, subito dietro a Stati Uniti e Gran Bretagna».
Due dati su cui riflettere arrivano da Washington: alla fine degli anni Settanta l'1 per cento più ricco della popolazione degli Usa catalizzava meno del 9 per cento del reddito totale nazionale; nel 2007 l'1 per cento più ricco ne deteneva il 23,5 per cento, lo stesso dato registrato nel 1928.
«A meno che noi americani non affrontiamo di petto la profonda distorsione della nostra economia, questa continuerà a perseguitarci», sostiene l'ex ministro di Clinton. «Senza un sufficiente potere d'acquisto il ceto medio sarà incapace di sostenere una forte ripresa. Gli alti tassi potenziali di inoccupati e i salari bassi genereranno domande di cambiamento. La politica diventerà una gara tra riformatori e demagoghi».
Il punto allora è come passare da un circolo vizioso a un circolo virtuoso, come ripristinare il benessere diffuso necessario per la crescita e come ottenere la crescita necessaria per il benessere diffuso. La sfida, secondo Reich, è sia economica che politica. Occorre un'economia fondamentalmente nuova. Ma come arrivarci? E come sarà quando lo faremo? Reich risponde a questi due quesiti nella terza parte di Aftershock, proponendo «un programma pratico e fattibile» di dieci punti (tra i quali figurano l'introduzione di un'imposta inversa sul reddito, di aliquote marginali maggiorate per i ricchi, un sistema sanitario per tutti e i buoni scuola basati sul reddito familiare).
L'attuazione di questo piano, ammette lo stesso Reich, richiede però collaborazione a tutti i livelli della società. Non bisogna inoltre sottostimare l'insofferenza - già registrata negli anni Settanta - dei ceti imprenditoriali e finanziari per i vincoli che impone la regolazione pubblica dell'attività economica, ingrediente essenziale del «patto sociale».


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