Nasceva 90 anni fa a Shanghai il Partito Comunista Cinese (Pcc). E’ da questa metropoli - che Deng Xiaoping aveva definito la “testa del Dragone che avrebbe proiettato la Cina nel futuro” – che Mao Zedong ha mosso i primi passi che avrebbero rivoluzionato la storia della Cina. E’ Shanghai la culla del comunismo cinese, del Partito guidato prima da Mao, poi da Deng e Jiang Zemin e ora da Hu Jintao.
E’ stata la città vetrina del successo economico e del turbocapitalismo cinesi, infatti, ad ospitare la prima riunione del Partito comunista cinese (Pcc). In un edificio all’interno della Concessione francese ci fu l’incontro storico del 23 luglio 1921 in cui i rappresentanti delle cellule comuniste si riunirono per formare il Pcc. Ufficialmente vi presero parte 13 politici cinesi, tra cui Mao, che all’epoca aveva 28 anni.
La polizia, dopo qualche giorno, scoprì la riunione e i delegati furono costretti a fuggire in barca sul lago Nan. Ma cosa vi è ora dell’edificio della prima riunione del Pcc? L’agenzia di Stato Xinhua lo considera la mecca del “turismo rosso”, il luogo da visitare almeno una volta nella propria vita.
Lo raggiungiamo con la metropolitana. Scendiamo alla fermata di Xintiandi (che significa “Nuovo cielo e terra”). Ci troviamo di fronte a un quartiere con spazi commerciali, per l’intrattenimento e per uffici. Qui dominano una serie di viali ombreggiati dai platani, schiere di edifici bassi adibiti a gallerie d’arte, negozi d’abbigliamento e caffé. E’ più o meno così che appare l’ex concessione francese di Shanghai.
La concessione francese in passato ha rivestito una grande importanza nella storia di Shanghai, prima come quartiere residenziale per gli stranieri e poi come luogo di nascita del Pcc. La zona passò sotto la sovranità francese nel 1849, negli anni in cui iniziava la spartizione straniera della Cina imperiale, e rimase francese fino al 1943. La concessione è caduta in disgrazia durante gli anni del maoismo, ma è rinata dalle sue ceneri e si è ormai trasformata in una delle zone più alla moda della città.
Seguendo i piccoli cartelli che indicano il museo del Pcc, passiamo vicino a un cinema multisala, a una birreria tedesca e a un grande locale della multinazionale americana del caffè Starbucks e, al numero 76 di Xingye Lu, ci troviamo di fronte all’ingresso del Museo del Primo Congresso del Pcc.
L’entrata è gratuita. Si accede all’atrio - dove è esposta una grande bandiera rossa con falce e martello – dopo un controllo di sicurezza. Questa è l’unica area della casa a due piani dove sono permesse le foto e i visitatori non perdono l’occasione di scattare istantanee davanti alla grande bandiera.
La casa nel 1920 apparteneva al delegato del Pcc Li Hanjun e al fratello Li Shucheng. E’ stata poi riammodernata e, dal 1952, è diventata un museo. Nel marzo del 1961 il Consiglio di Stato l’ha proclamata “sede del primo congresso nazionale del Pcc” e, nel 1984, il presidente Deng l’ha dichiarata ufficialmente monumento nazionale.
All’interno del museo troviamo tre gruppi di studenti cinesi di scuole secondarie provenienti da una delle principali città del Nordest, Jilin. La visita guidata dura circa 30 minuti ed è un po’ deludente. I primi pannelli mostrano fotografie risalenti alla Shanghai degli anni Venti con dei cinesi ridotti a scheletri “a causa delle potenze capitalistiche occidentali”.
Nelle didascalie si legge che il Pcc è nato come reazione alla dominazione straniera “che aveva reso la Cina a una società semifeudale e semicoloniale”. Sono riportati poi alcuni passaggi del Libretto rosso di Mao, come “Senza gli sforzi del Pcc, senza i comunisti cinesi, non sarebbe stato possibile ottenere l’indipendenza e la liberazione della Cina”.
Il pezzo forte del museo è un diorama di cera a grandezza naturale che ritrae lo storico Primo Congresso, con Mao al centro della scena. Anche qui, come a Piazza Tienanmen a Pechino, è Mao a dominare la scena. Deng, il suo successore, ha rovesciato, contraddetto, rimodellato tutto ciò che era stato tipico di Mao. Una sola cosa però non ha toccato: la cornice ideologica nella quale il paese si muove.
Il marxismo-leninismo e il pensiero di Mao restano i principi guida del paese e il Pcc resta il centro monopolistico di tutto il potere. Pensiamo al settore privato dell’economia. Mao l’aveva abolito. Deng e i suoi eredi non solo l’hanno riammesso, lo hanno persino incoraggiato. Il concetto di fondo, ripetuto costantemente dai dirigenti comunisti, è che l’economia deve rimanere socialista mentre il settore privato deve muoversi nella cornice del piano nazionale.
Deng ha sviluppato l’industria, ma non ha voluto dare tutto il potere decisionale ai manager e ai tecnici. L’ultima parola, come scriveva Tiziano Terzani nel suo libro La porta proibita (Longanesi, 1984), “ha ancora da essere del segretario del partito”. Ventisette anni dopo, nessuno mette in dubbio questa legge del pionere del miracolo economico cinese.
CHI C'ERA A SHANGHAI:
Secondo i documenti ufficiali presenti al Museo del Primo Congresso Nazionale del Pcc i delegati cinesi presenti il 23 luglio 1921 erano 13: Mao Zedong, He Shusheng, Dong Biwu, Chen Tanqiu, Wang Jinmei, Deng Enming, Li Da, Li Hanjun, Zhang Guotao, Liu Renjing, Chen Gongbo, Zhu Fohai e Bao Huiseng. A questi si devono aggiungere due rappresentanti del Comintern (l’Internazionale comunista) che però non avevano diritto di voto.
I NUMERI DEL PARTITO COMUNISTA CINESE OGGI:
Nella conferenza stampa del 24 giugno a Pechino, Wang Qinfeng, vicepresidente della commissione organizzativa del Partito, ha dichiarato che il Pcc conta 80,27 milioni di membri, ovvero il 6,17% della popolazione cinese (che si aggira attorno a un miliardo e 300 milioni di abitanti). Nel 2010, secondo Wang, il Pcc ha reclutato più di tre milioni di nuovi membri, dei quali il 40% sono studenti e il 38,5% donne. L’80% dei nuovi iscritti hanno meno di 35 anni. Le donne ora sono il 22,5% degli iscritti. Essere membro del Pcc conferisce prestigio e aiuta ad accedere a lavori stabili e ben pagati nelle imprese di Stato e nell’amministrazione pubblica.
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