domenica 10 luglio 2011

Il Sud Sudan secondo l'erede di Comboni


(dai quotidiani del gruppo Athesis)

Traguardo storico dopo la lunga guerra Sud Sudan
una nazione
che vive
di speranza

Simone Incontro

Il vescovo comboniano Mazzolari benedice il nuovo Stato: «L'Italia dovrebbe formare i leader per aiutare l'indipendenza»

Il vescovo comboniano Cesare Mazzolari, bresciano, tra il suo popolo a Rumbek, nel Sud Sudan.

Rappresentanti di Stato da tutto il mondo erano a Juba per celebrare l'indipendenza della nazione africana numero 54, la Repubblica del Sud Sudan. «Nasce un nuovo Stato libero e genuinamente africano: freschezza, rischio e povertà».

Lo dice monsignor Cesare Mazzolari, bresciano, classe 1937, vescovo di Rumbek nel Sud Sudan, missionario in Africa dal 1981. Ieri a Rumbek ha benedetto il nuovo Stato con queste parole: «O Signore, rimani con noi e rendici capaci di ricostruire le mura della nostra Gerusalemme che è la nostra nuova Repubblica del Sud Sudan».

Avevamo incontrato il missionario, sacerdote comboniano dal 1962, a Verona, alla casa madre dei comboniani. Una puntata rapidissima, prima di tornare in Africa. A Enzo Biagi, che lo intervistava nel 1999, il comboniano disse: «Ho promesso alla mia gente che morirò in Sudan perché sono uno di loro. Non lascerò più il Paese, se non per chiedere aiuti e per cercare altri missionari».

Che cosa significa oggi essere comboniano?
San Daniele Comboni, quando era nella mia attuale diocesi, nel 1856-1858, ci ha insegnato che il missionario è colui che è capace di vivere di fede senza aspettarsi il successo immediato. Noi mettiamo le fondamenta e poi verrà qualcuno che costruirà i muri. Comboni diceva: «Io muoio, ma la mia opera non morirà». Questo è il testamento di ciascun comboniano. Vivere di speranza.

Lei è sempre stato un assertore dell'indipendenza del Sud Sudan, cristiano e animista, dal Nord, musulmano. Che cosa ha rappresentato il referendum di gennaio?
È stato un mezzo miracolo. Obama l'ha considerato uno degli eventi più importanti per la libertà. Un atto a cui Dio ha contribuito. Questo popolo, come quello del Vecchio Testamento, ha invocato la misericordia di Dio. Abbiamo pregato e pregato perché Dio avesse misericordia di un popolo che aveva sofferto così a lungo.

Il Nord, guidato dal ricercato dell'Aja per i crimini di guerra Darfur, Omar al Bashir, come ha reagito?
Khartoum non si aspettava una decisione così determinata. Vorrebbero rovinarla, ma il Sud non accetta provocazioni per un'altra guerra. Il nostro popolo del Sud ha avuto 22 anni di guerra, ha sofferto la perdita di oltre due milioni di abitanti, per la maggior parte civili. Un proverbio congolese dice: «Quando due elefanti lottano, è l'erba che ne va di mezzo». I due elefanti erano il Nord e il Sud. Chi ha sofferto è stata la popolazione inerme.

In che modo la gente del Sud ha vissuto i giorni del referendum?
Già alle quattro di mattino del primo giorno di voto, la gente era fuori per strada a pregare, cantare e ballare. Era una festa, qualcosa che arrivava genuinamente dal cuore dei sudsudanesi. Nella prima notte di voto un'osservatrice internazionale dell'Onu si è commossa davanti a questa celebrazione.

Dopo la lunga festa, la storica dichiarazione d'indipendenza. Che cosa accadrà poi?
Il presidente Salva Kiir, secondo la nuova costituzione temporanea, governerà per i prossimi quattro anni. Avrà il potere di cambiare tutti i funzionari dello Stato e i governatori. C'è un po' di tensione perché la costituzione temporanea è stata messa assieme a porte chiuse. Non c'è stata la partecipazione del popolo e anche la Chiesa si è sentita lasciata fuori. È salito inoltre il livello del tribalismo.
Il bisogno più grande del Sudan è l'integrazione dei diversi gruppi, tra i Dinka, circa 3,5 milioni su una popolazione totale di circa 8 milioni, e gli altri. L'ultimo problema è quello delle persone che arrivano dal Sudan e che si sentono minacciate da Bashir. Il presidente sudanese vuole applicare la Shari'a, la legge islamica, in modo assoluto a tutti.

Il Nord Sudan ha il petrolio e un grande alleato, Pechino. La compagnia petrolifera di Stato cinese controlla i due più grandi consorzi energetici sudanesi. Ha costruito un oleodotto da 1.500 chilometri per collegare le due metà del Paese...
Con solo il 20 per cento dell'estrazione nazionale di greggio, il Sudan del nord dovrà rinunciare a parte delle rendite energetiche. Il Sud sarà però uno Stato senza sbocchi sul mare e dovrà trovare un accordo con Karthoum per trasportare il suo petrolio attraverso gli oleodotti del nord. La Cina ha convenienza che regni la pace e l'ordine.

Come si sta muovendo la comunità internazionale?
Gli Stati Uniti danno tanti soldi per l'esercito. Hanno ricostruito gli uffici del presidente. Il ministro delle Finanze e il capo di Stato del Sud Sudan fanno la spola Juba-Washington. L'Onu (con le sue agenzie Unicef e Undp) sta lavorando molto bene e il World Food Program sta funzionando alla perfezione.

E l'Italia che ruolo potrà giocare?
Roma ha una grande capacità di riconciliazione. Ho chiesto al sindaco di Verona, la città di Comboni, di gemellarsi con la mia diocesi. Alcuni parlamentari italiani, inoltre, hanno manifestato la volontà di riconoscere immediatamente il nuovo Stato e avviare relazioni diplomatiche. L'Italia potrebbe giocare un ruolo importante per formare i nostri leader.

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